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Era tanto, un’infinità
Un tempo dilatato e denso
Che non fremevo né traboccavo
di vita pulsante e piena
Che mi scuotesse
sì da obliare il buio solingo
sì da volere un’ombra a fianco
Ed ora
Temo e fuggo la luna schietta
Che m’intuisce sola
E m’illumina
come corpo esangue e tristo
A margine della realtà inerte
M’hai squarciato il petto
Ridestato i sensi,Riaperto un vano
Pronto ad accogliere e far spazio
Ad altro che non sia
Il mio vociar notturno e solo
E ora
Tronco d’albero nudo
In balia di venti furiosi
Sono e resto
A rimembrar sprazzi d’una notte
Mai esistita o forse sì
Ti ricompongo nel mio fantasticare
T’afferro, trattengo
-almeno tento
ma non ci sei
Ti sei affacciato
Una notte soltanto
Nella storia mia
-malconcia, intrecciata
Ne hai dettato un paragrafo
L’hai scritto tu
Coi tuoi occhi enormi
In cui mi son persa e trovata
In cui sono annegata e resto
Succube e padrona
D'una parentesi onirica
D’una intesa fugace, già svanita
ma tattile e sensoriale
Come un lampo purpureo
Su tela opaca e tetra
Ti smarrisco nel limbo
Tra cose volute, mai state
E vissuto palpabile e prepotente
Ch’ingombra sensi e silenzi
Ch’affolla giornate e mente
T’ho disegnato e narrato
Come materica proiezione del mio desio
Ed ora mi guardo dentro
Osservo
Che rimane?
Calma piatta, sordo buio
E
qualche cellula impazzita e memore
Dei tuoi polpastrelli caldi e cari
Del tuo sguardo d’estasi
Che rimava colle mie voglie e attese
T’ho sol sognato, forse vaneggiato
Eppure non capisco, non si spiega
C’ho ancora il tuo profumo
impresso
tra sensi e memoria
Il tuo sguardo
tra pelle e core